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Genitori di atleti: qualche suggerimento dalla psicologa dello Sport

Qui nel Regno Unito, per il secondo anno consecutivo, la prima settimana di ottobre è la “Parents in Sport Week”, ossia la settimana dedicata ai genitori degli atleti.

Questa “settimana tematica” è stata indetta nel 2016 dalla NSPCC, un’associazione nazionale che si dedica alla protezione dei bambini, con un settore dedicato nello specifico alla protezione dei bambini negli ambienti sportivi.

Quando si parla di protezione dei bambini negli ambienti sportivi si parla di tante cose, e se la mente corre subito a scenari particolarmente negativi che ultimamente – troppo spesso – si sentono nelle notizie, in realtà la protezione inizia semplicemente dall’assicurarsi che i bambini che praticano sport siano felici, sereni e stiano bene.

Ecco perché è stata indetta la settimana dei genitori degli atleti. Perché i genitori sono la chiave, e il primo punto di riferimento, quando si tratta dei nostri atleti, in particolare in sport come la ginnastica, ovvero “di specializzazione precoce”, dove si può diventare campionesse mondiali a 16 anni e olimpiche a 20.

Dunque, il primo motivo per cui è stata ideata la settimana dei genitori degli atleti è, semplicemente, per dire GRAZIE.

Grazie da parte dei vostri figli, e grazie da parte di noi allenatori e delle associazioni sportive. Grazie, perché senza la vostra voglia di scarrozzare figlie e compagne di squadra su e giù per le strade del Piemonte, venga pioggia, nebbia, neve o ghiaccio, noi non avremmo atlete con cui lavorare. Grazie, perché senza il vostro entusiasmo nonostante le ore seduti su scomode gradinate di palestre sperdute, gareggiare non darebbe la stessa emozione. Insomma, grazie davvero.

C’è anche un altro motivo, però, per cui si è ritenuto importante creare una settimana dedicata ai genitori degli atleti. Essere il genitore di un giovane atleta non è facile, in particolare quando si arriva ad un livello dove iniziano le prime competizioni. Sono molti gli aspetti che improvvisamente un genitore si ritrova a dover sapere, affrontare, gestire. E diciamocelo…mica nasciamo tutti “imparati”! 😉 Ed ecco quindi che i genitori vanno supportati, così da poter aiutare i propri figli e atleti a vivere l’esperienza sportiva nel migliore dei modi, che si allenino 2 o 20 ore alla settimana.

Sono tanti i problemi che bisogna imparare ad affrontare, ma – visto che c’è solo una settimana e non un mese – ne citerò tre, quelli che in questi anni ho visto più frequentemente.

 

La gara andata male.

La palla che rotola via, fuori pedana, proprio sull’ultima nota…Il giro che finisce con un passo di troppo…Il lancio lungo, che non viene ripreso come avrebbe dovuto… Piccoli o grandi che siano, i dettagli che fanno andare male una gara sono infiniti. E – in uno sport altamente tecnico come la ginnastica ritmica – sono spesso sconosciuti ai comuni mortali e comprensibili solo dagli addetti ai lavori.

E – almeno a volte – dalle vostre figlie.

Inutile quindi che cerchiate di consolarle minimizzando gli errori (perché voi effettivamente non li avevate visti) e le critichiate dicendo che sono troppo negative, e “allora per vederti con il muso, in palestra non ti ci porto più!”.

Entro certi limiti – perché il perfezionismo estremo non fa bene a nessuno – hanno ragione a non essere soddisfatte della propria prestazione se davvero hanno fatto parecchi errori, e il vostro minimizzare e volerle proteggere richiedendo un perenne sorriso stampato in volto, non le aiuterà a vivere in maniera più positiva l’esperienza. Anzi, il rischio è che decidano che, per non rischiare di perdere la loro amata ginnastica (che sì, produce lacrime e momenti di disappunto, ma regala loro anche gioie, emozioni indimenticabili, divertimento e amicizie profonde), smetteranno di parlarvi quando le cose vanno male.

Quante ginnaste ho visto negli anni restare in campo gara invece che andare a raggomitolarsi nel caldo e consolatorio abbraccio di mamma o papà. E allora ecco un’idea per provare ad affrontare diversamente questi momenti delicati e difficili… Dovete essere forti voi, dovete riuscire a gestire il loro dolore e disappunto. Dovete avere la forza di guardarle in faccia e far capire loro che sapete quanto si siano impegnate, che riconoscete che possano fare meglio, che oggi è andata così ma nulla è irreparabile. Si tornerà in palestra, si riproverà il lancio fino a farlo venire, fino a sentirsi sicure. Non è facile, non si vorrebbe mai vedere soffrire i propri figli. Ma non voler vedere la loro sofferenza, riderci su, minimizzarla e non saper “stare con loro nella tristezza”, rischia di renderli più deboli e paurosi, perché “se quella sensazione fa paura a mamma e papà allora deve essere una cosa tremenda, meglio lasciare stare”. Andiamo a casa, smettiamo ginnastica. Non sono brava abbastanza e non voglio deludere e far soffrire nessuno.

 

“Certo che però lei è più brava”.

Ovvero il confronto. Spesso e volentieri con l’amichetta del cuore, quella con cui ci divertiamo un sacco ad andare in palestra, ci facciamo un sacco di risate e condividiamo le nostre emozioni. Paragonare i risultati sportivi è una delle cose peggiori che un genitore possa fare.

Paragonare i risultati sportivi tra compagne di squadra e amiche è ancora peggio.

La prima situazione mina la fiducia in se stesse e passa dei valori decisamente sbagliati su ciò che è la competizione…

La seconda situazione crea anche confusione, una competitività insana…il classico “amiche-nemiche” che piace tanto ai media e va di moda al cinema e nei libri, ma che nella vita reale rischia di fare più danni che altro.

In ogni sport paragonare un atleta ad un altro è negativo e controproducente. Nella ginnastica – e negli sport dove c’è una giuria, e dunque un giudizio (s)oggettivo va comunque fronteggiato – è una delle cose peggiori che ci siano.

Quando lavoro con gli atleti in veste di psicologa sportiva faccio spesso il gioco del “controllabile/non-controllabile”. Uno degli aspetti fondamentali che non si possono controllare è la prestazione degli altri. In una gara, così come in ogni allenamento, l’idea di essere più brava delle altre è limitante. L’obiettivo costante deve essere il miglioramento di se stessi. Cosa non riuscivo a fare ieri, che sono riuscita a fare oggi? Cosa è andato storto la volta scorsa in gara, che oggi sono riuscita a controllare? Cosa non mi è venuto tanto bene oggi, su cui posso esercitarmi domani? La gara è con se stesse, una costante ricerca di migliorare se stesse e la propria prestazione, indipendentemente da chiunque altra.

E dunque i genitori, per supportare in maniera positiva e costruttiva il percorso sportivo delle proprie figlie, devono incoraggiare questo approccio, che in inglese viene definito “mastery approach”, cioè approccio che si focalizza sulla maestria, sul diventare sempre più bravi, giorno dopo giorno. Senza stare a guardare gli altri. Valorizzate il processo, il lavoro di miglioramento allenamento dopo allenamento, gara dopo gara, della vostra figlia, senza commentare le altre. Così facendo aiuterete le vostre giovani ginnaste ad apprezzare il lavoro ed i piccoli miglioramenti.

 

“Questa scelta è sbagliata!”.

Dicesi anche “chiacchiere da Bar Sport”. Tutti sono allenatori, tutti sanno quale sia la cosa migliore da fare, tutti capiscono perfettamente ogni sfaccettatura della situazione competitiva. Tutti tranne l’allenatore, ovviamente. Perché dovrebbe? E’ solo il suo lavoro!

Nello sport negli ultimi anni si sta sviluppando sempre più la fobia del genitore… E’ come una sorta di leggenda mitologica, che viene tramandata da allenatore ad allenatore…”non fidarti dei genitori, attenzione”.

I genitori non sono tremendi come si pensa – li ringraziamo per un sacco di cose, no? – ma è vero che, purtroppo, sono le situazioni estreme e traumatiche quelle che si tende a ricordare. E allora c’è la mamma che fa i video degli esercizi della figlia e della sua compagna di squadra, per farli poi vedere ad una giudice e controllare la sua teoria secondo la quale l’allenatrice della figlia fa preferenze per far arrivare una ginnasta davanti all’altra. C’è la mamma che si legge il Codice dei Punteggi e inizia a protestare con l’allenatrice perché sua figlia non ha difficoltà di valore più alto nell’esercizio, senza sapere che i programmi Allieve hanno dei limiti imposti che non sono presenti sul Codice che viene usato per le gare internazionali.

Queste situazioni ci sono, esistono, le ho vissute. Ma, a ben guardare, ne ho vissute molte di più positive, in cui i genitori delle ginnaste con cui lavoravo erano davvero una risorsa ed un supporto. Quindi mettetevi una mano sul cuore e prima di lamentarvi davanti alla vostra bambina della scelta errata dell’allenatrice – sicuramente un modo subdolo per punire vostra figlia per colpe indefinite – mordetevi la lingua e provata a fidarvi della persona a cui affidate la vostra bambina spesso anche 3-4 ore tutti i pomeriggi.

Una relazione ginnasta-allenatrice positiva è alla base del benessere delle vostre bambine, del loro stare bene in palestra. Se continuano a sentire commenti negativi sulla loro allenatrice da parte vostra, come faranno ad essere serene davanti a scelte che, a volte, potranno davvero essere difficili da accettare? Come faranno a fidarsi di ciò che dice la loro allenatrice, se mamma e papà paiono dubitare costantemente della buona fede o della competenza delle sue scelte? Il consiglio è di trovare per le vostre figlie allenatrici che vi piacciano, con cui siate contenti che le vostre bambine trascorrano il tempo. Delle educatrici, che sappiano vedere la persona oltre alla ginnasta davanti a loro. Una volta fatta la scelta però, dovete fare una cosa che non è facile, soprattutto quando si parla delle vostre figlie, ciò che di più importante avete nella vita. Fatelo per il loro bene. Fidatevi.

Fiducia, rispetto e comunicazione, da parte di voi genitori così come da parte delle allenatrici, sono alla base della serenità e di un’esperienza sportiva positiva per i bambini. A qualsiasi livello.

 

Buona Settimana dei Genitori degli Atleti a voi!

Grazie ed in bocca al lupo, perché il vostro è davvero il mestiere più complicato del mondo!

 

(Dr. Francesca Cavallerio, docente di Psicologia dello Sport presso l’Anglia Ruskin University, Cambridge, UK)

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